Proseguiamo
la carrellata di sport cosiddetti minori con il mio preferito, naturalmente,
quello che pratico: il football americano. In Italia questa disciplina ebbe
grande successo soprattutto negli anni ’80, durante i quali sono nate molte
squadre ancora attive, che coinvolgevano un discreto pubblico e quindi
interessava anche sponsor importanti. Il football, poi, è quasi scomparso dal
panorama italiano. Negli ultimi anni sembra invece conoscere una certa
rinascita, come dimostra la fondazione di diverse nuove squadre anche in
piccoli centri urbani. Le zone a più alta concentrazione di compagini rimangono
l’Emilia-Romagna, le Provincie di Milano e Varese, l’area metropolitana di
Roma.
Il football
nacque negli anni ’60 dell’Ottocento nelle università di Boston, come
evoluzione del rugby a 15 giocatori. Nei decenni successivi vennero stilati
diversi regolamenti, ad esempio quello riguardante la presenza di 11 giocatori
in campo e quello sull’introduzione dello scrimmage.
Va detto che per lungo tempo, almeno fino alla nascita delle leghe quali
National Football League e American Football League, le regole fissate non
hanno impedito decessi o infortuni anche molto gravi, tanto da richiedere, tra
gli altri, l’intervento personale del Presidente Theodore Roosevelt nel 1905.
Ad oggi,
comunque, il football è uno degli sport più popolari d’America, quando non il
più popolare: quasi tutte le high school
e i college ne offrono infatti tra i
loro programmi sportivi la pratica, anche tramite borse di studio per gli
atleti che non possono permettersi l’iscrizione ai corsi (come accade anche nel
caso di altre discipline sportive come la pallacanestro e l’atletica leggera).
Tutti i giocatori professionisti, che militano nella famosa NFL, provengono infatti
dall’università; anche i pochi giocatori non americani sono sottoposti a un
periodo di “prova” presso uno di questi istituti, che sembrano gli unici in
grado di fornire la preparazione fisica, atletica e tattica necessaria.
Veniamo ora
ad analizzare più da vicino questo bellissimo sport, cominciando da chi lo fa,
cioè dai giocatori in campo.
Il football
nella variante tackle (la più
diffusa) si gioca 11 contro 11. Sono previste anche la versione 9 contro 9
(detta arena, perché negli Stati
Uniti si gioca indoor, mentre in Italia ci si gioca su un campo normale,
leggermente più stretto) e la versione flag,
in cui non si placca ma si deve rubare la bandierina al giocatore che porta la
palla.
I ruoli
sono ben definiti: in attacco vi
sono cinque uomini di linea (che diventano tre nel football a 9), che non possono
ricevere il pallone, e altri sei uomini che invece possono. I linemen sono: il centro, grosso, forzuto
e veloce con le gambe, che deve snappare
il pallone (cioè farlo passare all’indietro tra le gambe) per dare inizio
all’azione e poi proteggere chi lancia o chi porta la palla; al suo fianco vi
sono le guardie, destra e sinistra, con caratteristiche simili ma che non
devono preoccuparsi del pallone; ai fianchi esterni delle guardie stanno i
tackle, destro e sinistro, che devono essere più mobili dei compagni di linea
perché avranno quasi certamente a che fare con difensori più veloci. A seconda
dello schema che si andrà ad eseguire, può essere presente un sesto uomo di
linea, detto tight end: si tratta di
un giocatore versatile, grosso tanto da poter competere con i suoi compagni di
reparto, ma con buona corsa e buone mani perché potrebbe essere chiamato a
ricevere la palla. Alle spalle della linea giocano il quarterback, regista e spesso capitano, che ha il compito di
riferire gli schemi dettati dall’allenatore e di farli eseguire alla
perfezione: un suo errore può determinare una palla persa e conseguente
possesso da parte degli avversari, o addirittura una segnatura della difesa.
Alle sue spalle stanno i running back,
giocatori compatti e veloci che partono palla in mano e, sfruttando i blocchi
della linea, corrono fino al placcaggio o alla segnatura. Più esterni,
solitamente uno a destra e uno a sinistra, attendono i ricevitori: veloci,
abili a smarcarsi e nel prendere e tenere il pallone, come dice il loro nome
devono ricevere il lancio del quarterback e correre anch’essi fino al
placcaggio o alla segnatura (nel football infatti è possibile un solo passaggio
in avanti, e solitamente ci si limita anche ad un solo passaggio all’indietro
benché non ci siano limiti imposti).
Per quanto
riguarda la difesa, incontriamo
anche qui una linea composta da tre o quattro giocatori (tre o due nella
versione a 9): questi, che prendono il nome di defensive tackles al centro e defensive
ends all’esterno, sono grossi, veloci e aggressivi; il loro compito
consiste nel fermare sul nascere le corse e impedire od ostacolare i passaggi.
Alle loro spalle stanno i linebackers,
tre o quattro a seconda dello schema: velocissimi, forti e abili placcatori,
devono porre fine alle corse eventualmente sfuggite alla linea e controllare le
traiettorie dei passaggi corti; a volte possono essere assegnati alla marcatura
a uomo di un avversario particolarmente forte. All’esterno, a uomo sui
ricevitori o a zona, troviamo i cornerbacks,
con caratteristiche simili ai ricevitori ma buoni placcatori: un loro errore
apre infatti la strada al touchdown.
Lo stesso si dica per la o le safety,
giocatori che come dice il nome costituiscono la “sicurezza” contro un
avversario che riuscisse a sfuggire.
A questo
punto vale la pena soffermarci sulla numerazione: a prima vista, infatti,
sembrerebbe che qualsiasi giocatore possa scegliere un numero qualsiasi, che
raramente si vede negli sport più diffusi in Italia, come 99 o 65. Non è
proprio così: gli intervalli di numeri, infatti, determinano il ruolo del
giocatore, in questo modo (regolamento NFL, che può non essere seguito
perfettamente in altri campionati):
1-19 –
quarterback e ricevitori
20-49 –
running back, cornerback e safety (da 40 a 49 anche tight end)
50-59 –
linebacker e linemen
60-79 –
linemen
80-89 –
ricevitori e tight end
90-99 –
linebacker e linemen di difesa
In tutti i
casi, i giocatori con numero da 50 a 79 non possono essere destinatari di
passaggio, si dicono cioè in gergo “ineleggibili”.
Per quanto
riguarda il campo da gioco, è lungo
100 yards da una linea di meta all’altra (goal
line) ed è largo 53,5 yards. L’area di meta, o end zone, misura 10 yards e ospita al suo interno le porte. Lungo
il campo vi sono altre linee longitudinali a distanza di 5 yards una
dall’altra, e dei trattini che misurano le singole yard (queste spesso non
vengono disegnate sui campi italiani), e contemporaneamente determinano la hash mark, cioè il punto più a destra o
a sinistra del campo da cui può partire l’azione, a seconda di dove è terminata
quella precedente.
Veniamo ora
alle regole basilari del gioco.
Lo scopo
della formazione di attacco è guadagnare terreno fino a raggiungere la meta,
cioè il touchdown (6 punti): per farlo
ha a disposizione quattro tentativi per coprire 10 yards, tramite corse o lanci
(ovviamente si possono coprire 10 o più yards anche con una sola corsa o un
solo lancio, anzi tanto meglio), una volta superate ne avrà altri quattro e
così via finché raggiungerà il fondo del campo. Dopo questa segnatura è
possibile tentare un calcio di trasformazione tra i pali (o extra point, 1 punto) o una giocata “alla
mano” aggiuntiva (2 punti). Ogni tentativo comincia esattamente sulla linea
immaginaria presso la quale è stato fermato il tentativo precedente (sempre all’interno
delle hash marks). Qualora non si
riuscisse a coprire le 10 yards, si può decidere se giocare il quarto
tentativo, rischiando che la squadra avversaria cominci la sua rincorsa al touchdown da posizione favorevole, si
può optare per il punt (o calcio di
allontanamento), nel quale comunque il pallone può essere raccolto al volo e riportato
fino al placcaggio o alla segnatura, oppure infine si può tentare un field goal (o calcio piazzato, 3 punti),
solitamente quando l’azione viene fermata a non più di 30 yards dalla end zone perché diventerebbe molto
impegnativo.
In tutto
questo, la difesa ha ovviamente il compito di impedire all’attacco di portare a
compimento i propri schemi. I difensori possono anche giocare il pallone,
quando il portatore viene placcato e perde la palla (si verifica un fumble, che può essere raccolto da
chiunque e rimane in gioco), oppure quando si esegue un intercetto, ovvero
quando il pallone destinato al ricevitore viene “rubato” al volo: in entrambi i
casi il difensore che ora corre palla in mano può segnare un touchdown o comunque guadagnare molto
terreno a favore del proprio attacco. La difesa può inoltre portare a referto
dei punti placcando il portatore di palla all’interno della propria end zone, o facendolo uscire dal campo
in corrispondenza di quest’ultima: si parla allora di safety, e vale 2 punti.
Dopo ogni
segnatura, e all’inizio del primo e del terzo quarto (si gioca su quattro quarti
di 15 minuti ciascuno, o più brevi nei campionati inferiori), il gioco
ricomincia con un calcio o kick off,
dall’altezza delle 35 yards difensive, mediante il quale si restituisce il
pallone agli avversari, che, se sono abili, possono anche prenderlo e
riportarlo in touchdown.
Come abbiamo
visto, quindi, anche le situazioni che possono sembrare di transizione, come
quelle che prevedono i calci e non il gioco alla mano, sono molto importanti perché
potenzialmente consentono alle squadre in campo di guadagnare o subire dei
punti.
Durante la
fase attiva di gioco, i giocatori possono subire colpi, essere strattonati,
spinti, buttati a terra, ma sempre in base a regole ben precise, che purtroppo limitano
ma non escludono infortuni e situazioni spiacevoli: è bene dunque leggere
attentamente il prossimo paragrafo.
Grande
attenzione meritano infatti le protezioni
consentite ai giocatori, trattandosi di uno sport di contatto fino alla
collisione.
Le protezioni
obbligatorie sono: il casco, che protegge la testa dalla nuca alla fronte, ai
lati tramite la calotta (che di solito è la parte colorata e con adesivi che
identificano la squadra), la faccia tramite la facemask o griglia e il mento con la mentoniera (tutte queste parti
sono avvitate tra loro in modo sicuro); il paradenti; il paraspalle o shoulderpad, che protegge le spalle, il
busto fino allo sterno e la schiena fino a un certo punto; protezioni di fianchi,
coccige, cosce e ginocchia, solitamente inserite negli stessi pantaloni da
gioco o in pantaloncini da portare sotto.
Protezioni
non obbligatorie, ma molto usate sono la conchiglia o sospensorio, il paracollo
o collar (volto a evitare buschi
movimenti del collo e della testa e per questo utilizzato soprattutto dai
placcatori), il paracostole (utilizzato soprattutto dai ricevitori), il backplate (per proteggere la colonna
vertebrale). Vi sono poi altre protezioni meno usate, come quella per il
bicipite o per l’avambraccio, che di solito vengono sostituite da fasciature o
portate da chi ha già subito un infortunio nella zona interessata.
I guanti
meritano una menzione a sé stante, perché possono essere considerati sia una
protezione, è il caso ad esempio degli uomini di linea che altrimenti si martirizzerebbero
ogni volta le mani contro le protezioni rigide degli avversari, sia un aiuto,
ad esempio per chi deve ricevere e/o tenere il pallone, sia un impedimento,
soprattutto per il quarterback che
deve avere piena sensibilità.
Di tutte le
protezioni e attrezzature descritte esistono diversi modelli e diverse marche più
o meno economiche e più o meno performanti: a mio parere, il casco dovrebbe
avere la priorità sulla spesa, che comunque, lo dico a coloro che si avvicinano
a questo sport, può essere importante ma anche meno di quanto si creda.
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