mercoledì 24 febbraio 2016

Vienna


Chi ama le città mitteleuropee, l’architettura tipica di quest’area, i parchi, i fastosi palazzi reali, non può non lasciare un pezzo di cuore a Vienna.
Anche qui, considerando la grandezza della città e le distanze da coprire, consiglio una sistemazione all’interno dell’area metropolitana: noi, ad esempio, abbiamo affittato un appartamento tramite Air Bnb proprio al capolinea, e già eravamo al limite della comodità per raggiungere il centro e le altre parti della città. Attenzione perché anche qui, come a Parigi, i costi dell’alloggio e dei pasti possono essere piuttosto elevati.

Comunque, Vienna è una città che offre moltissimi spunti.
Cominciando con i luoghi di culto, meritano sicuramente una visita il Duomo di Santo Stefano, situato in pieno centro (zona pedonale), che domina con le sue vertiginose altezze gotiche, e la sinagoga.
Per quanto riguarda i palazzi reali, immancabili a mio parere il castello di Schönbrunn, un po’ lontano dal centro ma comunque raggiungibile con i mezzi, colossale opera architettonica un tempo collocata in campagna ma ormai inglobata nella città, che ospita anche uno degli zoo più antichi al mondo; il Belvedere, molto più centrale e contraddistinto da due palazzi che si guardano attraverso un bellissimo parco, sedi di gallerie d’arte e mostre periodiche; e naturalmente l’Hofburg, il centro secolare del potere austriaco in quanto tutt’oggi residenza del Presidente della Repubblica, che ospita collezioni di oggetti anche personali appartenuti a diversi imperatori inclusa la famosa Sissi.
Tra gli altri palazzi istituzionali attivi vorrei ricordare il Rathaus, il municipio, struttura imponente di stile barocco, e il Parlamento, visitabile previa accettazione e controllo di sicurezza e solo con una guida.
Il celebre parco Prater merita almeno un pomeriggio, per passeggiare, prendere il sole, oziare, assistere a qualche competizione sportiva, recarsi al luna park permanente che offre qualsiasi tipo di attrazione. Il Donaupark è invece famoso grazie alla Donauturm, cioè l’antenna di telecomunicazioni che ricorda quella di Alexanderplatz a Berlino e ospita sulla sommità un ristorante circolare che ruota a 360 gradi, dando la possibilità di ammirare dall’altezza di 170 metri tutta la città. Lo consiglio per la cena, dal tramonto all’imbrunire.
Infine raccomando una visita guidata all’Opera statale e al Karl-Marx-Hof, il più grande edificio abitativo al mondo.

Non posso esimermi dal parlare, seppur brevemente, della gastronomia austriaca. Sappiamo che questo paese è celebre per la birra, i wurstel, lo speck e lo strudel di mele. Tutto vero. Consiglio però di provare anche dell’altro, ad esempio la famosa Wienerschitzel, nonostante sembra semplicemente una cotoletta di pollo, e la pasticceria, che vanta al primo posto la torta Sacher: se potete recatevi all’omonimo locale, ma date prima un’occhiata ai prezzi! Grande sorpresa desterà forse l’apprendere che un quartiere periferico di Vienna, cui si arriva solo con l’autobus o il tram, è conosciuto per le sue cantine: si tratta di Grinzing, grazioso borgo in collina dove è possibile gustare piatti tipici locali accompagnati da vino di produzione propria.

La nostra vacanza a Vienna è durata quattro giorni e mezzo, e ancora una volta ci è sembrato poco tempo: abbiamo dovuto ad esempio rinunciare a visitare alcuni luoghi di culto e i musei, e abbiamo fatto in tempo a recarci al Parlamento poco prima di partire.
Bene, avremo dei motivi in più per tornare!

martedì 23 febbraio 2016

Barcellona


È forse la città più bella, originale, ricca di attrattive che io abbia mai visitato.
Si tratta di Barcellona, una delle mete europee che ho recentemente visitato assieme alla mia ragazza, subito dopo il periodo a Parigi di cui ho appena raccontato.

La nostra sistemazione non era delle migliori, ma era sicuramente il meglio che si poteva trovare con poco preavviso e con una spesa ragionevole: hotel tre stelle sulla via per Badalona, piuttosto defilato ma servito di giorno dalla metropolitana e tutta la notte dall’autobus.
Proprio a causa di questo problema logistico, e anche per l’abbondanza di cose da fare e luoghi da visitare, la nostra vacanza è stata un correre avanti e indietro per non perdere veramente nulla.

Ripercorro, non in ordine cronologico ma a seconda di come affiorano i ricordi, le tappe di questo breve e ricco soggiorno.
Niente da dire, la Sagrada Familia merita il primo posto. La sua architettura, la posizione e anche il suo aspetto di opera mastodontica eternamente incompiuta possono incontrare oppure no il gusto individuale, ma credo nessuno possa rimanere indifferente di fronte alla maestosità della costruzione e al genio di chi l’ha concepita e purtroppo solamente iniziata. Si tratta di una chiesa cristiana cattolica, vi sono altari, croci, luminarie, palchetti per i cori ma sembrano tutt’altra cosa: ci si perde nel dedalo di dettagli, di curve, di colori. Le dodici torri campanarie si staccano dal suolo e sembrano proiettarsi all’infinito, si ergono sulla città e sono assurte, non a caso, a suo simbolo.
Subito dopo non può che trovar posto Parc Güell, partorito dalla mente dello stesso Gaudi, non presenta una linea retta neanche a pagarla: solamente i piani su cui scorrono i sentieri e sono fondate le case e le statue che pullulano nel parco sembrano avere un senso. Il resto è costituito da animali improbabili, famose le lucertole e la tartaruga, colonne inarcate, tetti incurvati e colori sgargianti: un sogno ad occhi aperti.
La zona olimpica, posta sopra il Montjuic, merita anch’essa una visita. Le olimpiadi sono state un avvenimento importante per la città, che vive di sport e continua ad ospitare competizioni internazionali di alto livello, e qui sono conservate e continuano a essere utilizzate le strutture appositamente costruite. Ma da questo punto si gode anche del più bel panorama sulla città: lo sguardo può ricoprirla tutta, toccare la Sagrada Familia e gli altri campanili, tuffarsi nel mare (c’è anche una funivia che conduce direttamente al porto), perdersi nel dedalo di stradine del quartiere medievale.
Infatti, il Barri Gòtic (così in catalano) è un altro luogo di estremo interesse, per l’architettura gotica, completamente diversa dal resto della città, costruita invece in modo piuttosto razionale e con vie che si intersecano perfettamente.
Torniamo a Gaudi per citare le celebri case da lui progettate, su cui spiccano Casa Battló e la Pedrera, che sicuramente per la loro unicità sono da inserire in qualsiasi itinerario.
Oltre a questi luoghi che bene o male tutti conoscono, e di cui si sente parlare spesso, consiglio una bella giornata al mare: la spiaggia è libera, si trova sempre posto perché si estende per diversi chilometri da Barceloneta verso est, il mare è caldo, ci sono sempre ragazzi che suonano e cantano, i venditori ambulanti ti portano da bere mentre sei comodamente sdraiato al sole, si può organizzare un pic-nic per pranzo o per la cena, come abbiamo fatto noi.

Devo a questo punto sottolineare la gentilezza e la disponibilità dei barceloneti: ci è capitato ad esempio di rompere un souvenir mentre passavamo vicino ad una bancarella e il venditore non ha voluto che glielo pagassimo; un signore cui ho chiesto dove potevamo comprare il jamon, il celebre prosciutto, si è offerto di accompagnarci nel retro di un ristorante e ci ha presentato come suoi lontani parenti; una cameriera si è preoccupata perché ha visto la mia ragazza che si era tolta le scarpe e pensava si fossero rotte o che avesse male ai piedi… episodi che ricorderemo con grande tenerezza!

Vorrei infine porre l’attenzione sul lato meno simpatico della città: la Rambla, o le Ramblas per meglio dire, pullulano di gente di ogni tipo, sono il posto giusto dove passare una serata anche se non si sa dove andare, perché qualcosa si trova sempre, ma bisogna fare attenzione perché soprattutto i ristoranti sono tutt’altro che di qualità e spesso le fregature sono dietro l’angolo. Attenzione anche ai borseggiatori.

Detto questo, consiglio vivamente di passare una settimana a Barcellona, di godere del mare, delle bellezze artistiche, e perché no, anche dei locali notturni. Buon divertimento!

Parigi


“Parigi val bene una messa” ebbe a dire Enrico IV, ugonotto convertitosi al cattolicesimo per sedere sul trono di Francia.
“Parigi val bene quattro viaggi in cinque mesi” potrei aggiungere io. Sì, perché, durante il periodo Erasmus della mia ragazza, svolto proprio a Parigi nel primo semestre del 2013, mi ci sono recato quattro volte, a cadenza quasi mensile, per poter passare qualche giorno con lei. Naturalmente, nei ritagli di tempo abbiamo anche visitato la città.

Cosa posso aggiungere sulla Torre Eiffel, sull’Arco di Trionfo, su Notre Dame, sulla reggia di Versailles, sulle rive della Senna, sul Museo del Louvre, che non sia già stato detto da chiunque? Mi soffermo quindi solo su alcuni spunti, consigli, appunti, che a mio parere meritano di essere condivisi per rendere ancora più piacevole un soggiorno nella capitale francese.

Tanto per cominciare, parliamo dell’aspetto logistico: se volate con Ryanair, sappiate che l’aeroporto parigino di Beauvais dista circa 80 chilometri dalla metropoli, significa poco meno di un’ora e mezza di autobus, che comunque troverete perché le corse seguono gli orari degli aerei anche in caso di ritardo; inoltre, consiglio di pernottare non dico in centro, ma almeno entro l’area servita dalla metropolitana (quella che si chiama “Metro”, perché quella che si chiama “RER” viaggia sempre sottoterra ma passa molto più raramente e raggiunge destinazioni lontane anche 50 chilometri dal centro, come è il caso di Versailles o di Eurodisney), che vi permetterà di spostarvi facilmente e velocemente. Parigi è enorme, quindi questo aspetto non è assolutamente da sottovalutare.
Secondo punto: attenzione al portafogli! Non intendo solamente attenzione ai borseggi, che pure sono all’ordine del giorno (attenzione anche a tenere distrattamente in mano il cellulare), ma veramente prestate attenzione ai prezzi, soprattutto a quelli dei ristoranti. Per decine di euro, infatti, si rischia di mangiare pochissimo e anche male: in questo caso sarebbero da prendere in considerazione i ristorantini nascosti, che propongono menù a 15-20 euro. È quello che abbiamo fatto noi e siamo stati soddisfatti. Anche i prezzi degli alberghi sono piuttosto alti per le nostre tasche, difficilmente si trova una camera per due, senza colazione, a meno di 50 euro a notte: questo problema dovrebbe via via risolversi con il progredire di Air Bnb e altri servizi simili, che purtroppo tre anni fa non esistevano. Tenete in conto questo aspetto, perché per visitare bene la città sono necessari a mio parere almeno cinque giorni o una settimana.
Cercate di sfruttare la possibilità di usufruire di trasporti a basso prezzo e musei gratuiti fino ai 26 anni: noi siamo andati in lungo e in largo per la città, siamo entrati in molti luoghi di interesse gratis o pagando un prezzo veramente simbolico.
Altro spunto: Parigi è la città romantica per definizione, non perdete l’occasione! Riva della Senna, Tour Eiffel di notte o all’imbrunire, passeggiata per gli Champs Elysées, cena a lume di candela: tutto assume qui una veste sensuale, ogni angolo di strada sembra bellissimo, ogni ponte poetico e la luce soffusa come in un sogno.

Recatevi quindi in tutti i luoghi che ho nominato e anche in altri, ma vi consiglio di dedicare un po’ di tempo alle passeggiate, a perdervi per la città, in modo da cogliere tutte le sfumature, tutti i profumi, le sensazioni che rendono un soggiorno indimenticabile.

Brasile


Veniamo ora all’esperienza che più mi ha aiutato a formarmi come persona, a farmi capire chi sono, a crescere: si tratta del viaggio nella regione Sud del Brasile, compiuto nel maggio del 2011.
La spedizione è stata organizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo, allo scopo di far incontrare e confrontare giovani veneti e brasiliani (di origine veneta o friulana), creare amicizie e se possibile aprire a soluzioni lavorative ed economiche tra le due sponde dell’oceano. Il nostro gruppo era formato da diciassette persone, tra le quali il Presidente dell’associazione, giovani attivi nella politica locale, e studenti, a rappresentare tutte le provincie della nostra regione. Abbiamo visitato un Brasile diverso da quello che ci si aspetta: non Rio de Janeiro e le sue spiagge, non la giungla dell’Amazzonia, non le metropoli come San Paolo, ma i tre Stati federali del Sud, cioè Paraná, Santa Catarina e Rio Grande do Sul, colonizzati a suo tempo da italiani e altri emigranti, ora motore economico di tutto il Paese.

Vorrei descrivere brevemente l’itinerario. Sarà utile al lettore non ferrato sull’argomento una cartina di questa zona. Siamo partiti il 14 maggio alla volta di Colombo, cittadina adiacente alla grande Curitiba, capitale del Paraná: nei tre giorni trascorsi qui abbiamo avuto la possibilità di visitare le campagne e la città, di incontrare molte persone e parlare con loro in dialetto veneto (o lingua veneta come preferisco dire). Successivamente abbiamo effettuato un viaggio piuttosto lungo per raggiungere Concórdia, cittadina nello Stato di Santa Catarina, dove siamo stati ospitati per qualche giorno in famiglia e abbiamo potuto constatare i successi nella vita e nel lavoro di molte famiglie discendenti da emigranti. Da qui abbiamo proseguito verso il Rio Grande do Sul, facendo tappa proprio nella prima città che si incontra venendo da nord, cioè Erechim: a mio parere siamo rimasti troppo poco, vista e considerata anche l’agenda davvero piena, che includeva incontri con il vicesindaco (in questo caso sono stato nominato sul posto nostro portavoce) e con l’Associazione giovani imprenditori. Poi abbiamo raggiunto il “cuore” dello Stato, ovvero la città di Santa Maria, dove abbiamo soggiornato per cinque giorni, di nuovo ospitati in famiglia: le attività che abbiamo svolto durante questa tappa sono state molteplici, dall’assistere a uno spettacolo teatrale e a grandi feste in nostro onore, alla visita a scuole, università, fabbriche e chi più ne ha più ne metta. Tanti sono stati comunque anche i momenti di svago, come ad esempio la domenica passata in un centro sportivo dove abbiamo potuto passeggiare, consumare un ottimo churrasco tutti assieme, compagni di viaggio, ospiti, amici vari. Gli ultimi giorno sono stati piuttosto caotici: ci spostavamo di giorno in giorno, a volte sostavamo solo per poche ore, un pasto veloce con qualche autorità e poi via, verso la tappa successiva. Vorrei ricordare due tappe, quella a Doutor Ricardo dove il simpatico sacerdote padre Tremea recita e canta la messa in lingua veneta, e quella presso la cittadina di Garibaldi, nelle vicinanze della più grande Caxías do Sul.

Due settimane volate, piene zeppe di attività, momenti ufficiali, feste meno ufficiali, balli e canti. Penso sempre con affetto a tutte le persone che ho incontrato, con cui sono ancora in contatto, amici che ci hanno aperto le loro case e raccontato le loro vite, e quelle dei loro antenati, solamente per l’origine che ci accomuna, per questa lingua vera e vivente, troppo spesso sottovalutata, per le tradizioni, la dedizione al lavoro e al sacrificio, la naturale attitudine al riunirsi in comunità di sostentamento. Ne hanno passate tante i nostri amici italo-brasiliani, a cominciare da quei “trenta giorni di nave a vapore” ricordati in molte canzoni, per giungere in una terra ostile, selvaggia (o “mata”), abbandonati dal governo centrale che aveva promesso fortuna e ricchezze. Molti ce l’hanno fatta, le hanno trovate, o meglio se le sono costruite e guadagnate. Molti altri no.

Vorrei chiudere con un episodio che ho ben fissato nella memoria e mi fa ancora inumidire gli occhi: un uomo, che ci ha concesso un’intervista a favore di videocamera, quando gli abbiamo chiesto se gli sarebbe piaciuto tornare a visitare l’Italia ha risposto subito sì, ma poi è scoppiato a piangere dichiarando che quanto guadagnava non era sufficiente a pagare il viaggio. Inoltre, molte persone lì sono convinte che, qualora provassero a cercare vecchi parenti rimasti, si troverebbero porte chiuse in faccia: chi ci ha provato ha avvertito paura, da parte degli italiani, di sentirsi rivendicare qualche eredità o qualche diritto. Io, per quel che mi riguarda, vi accoglierò sempre a braccia aperte come voi avete fatto con me. Grazie di cuore.

Belgio – Olanda – Lussemburgo


L’estate del 2010 è stata teatro di uno dei viaggi più incredibili, strani, interessanti della mia vita: infatti, durante due settimane, prima in quattro e poi in tre persone, abbiamo compiuto un circuito di circa 1700 chilometri sulle strade di Belgio, Olanda, Germania (sola regione di Colonia) e Lussemburgo. L’idea è partita sempre dal nostro amico di Lisbona e il Cairo, grande mattatore di questo biennio come ormai avrete capito, ma questa volta si è unita a me e a mio fratello anche un’altra persona, che ha condiviso con noi solo la prima settimana di avventura a causa di impegni personali.

Questo il nostro itinerario: partenza da Treviso e arrivo a Charleroi, noleggio auto e tappa a Waterloo sulla strada per Bruxelles, poi Bruges, Anversa (passando per Gand e con una tappa sul Mare del Nord), Amsterdam, Colonia, Lussemburgo (via Aquisgrana e Maastricht), infine ritorno a Bruxelles con tappa a Liegi. Le città in cui abbiamo soggiornato per più tempo sono state, per ovvie ragioni, Bruxelles (complessivamente sei giorni), Amsterdam (quattro), Colonia (due), mentre tutte le altre tappe sono state compiute in giornata o con una sosta di una sola notte.

Di Bruxelles non conservo un ricordo molto positivo: probabilmente ciò è dovuto al cattivo tempo che abbiamo incontrato, grigio quasi autunnale, e al fatto che ci siamo dedicati molto più allo svago che all’aspetto culturale come avrei preferito; inoltre, la zona delle istituzioni europee, dove eravamo ospitati, mi ha dato l’impressione di un grande sperpero di risorse a vantaggio di burocrati incravattati dalla scarsa utilità. Mi sono invece piaciute la piazza principale e la Cattedrale che la domina. Provo infine molta simpatia per la piccola statua del Manneken Pis, il bambino che fa la pipì, ormai diventata simbolo della città. Direi che devo tornare assolutamente per dedicarmi di più a monumenti e musei che alla buonissima birra.

Consiglio invece, a chi si trovi a passare di lì, una visita alla graziosa cittadina di Bruges: si tratta di un piccolo borgo medievale, caratterizzato da mura e canali navigabili, il cui centro è la Piazza del Mercato, dove si affacciano anche i principali edifici religiosi, il municipio e le antiche residenze dei signori locali. Suggestivo e romantico il giro delle vie, assolutamente chiuse al traffico, in calesse. Senza uscire dalla città è possibile visitare un birrificio tradizionale, chiamato De Halve Maan (“La mezzaluna”), dove una guida spiega il procedimento dalle materie prime all’assaggio, cui abbiamo partecipato molto volentieri!

Amsterdam si riduce in una parola: merita. Ora, lasciamo da parte il facile spirito che si può fare a proposito di prostituzione e consumo di droga: noi quattro ci siamo divertiti e abbiamo goduto appieno della città senza ricorrere a questi vizi. Anche Amsterdam si può girare a piedi: quando ci siamo stati noi (parliamo di cinque anni e mezzo fa quindi non posso garantire che il servizio sia ancora attivo) c’era la possibilità di compiere un tour a piedi dei maggiori luoghi di interesse, anche in questo caso attraverso strade chiuse al traffico, accompagnati da una guida, a titolo gratuito salvo una eventuale e libera offerta. Si tratta di un ottimo metodo per farsi un’idea di quello che si vuole visitare più approfonditamente.

Alcune delle città che ho nominato sono molto piccole, ma presentano dei bellissimi centri, dei romantici scorci, canali, mura, castelli, palazzi antichi: ricordano insomma l’enorme importanza che questa parte di Europa ha rivestito tra la fine del Medioevo e l’Età moderna. Un viaggio che sono molto felice di aver compiuto, nonostante le fatiche della guida e la nostra condizione di “nomadi” per due settimane.

sabato 6 febbraio 2016

Confessioni della religione islamica


Dopo aver parlato dei vari culti che compongono la religione cristiana, è interessante e doveroso secondo me descrivere brevemente anche le correnti della religione islamica. Questo forse potrà contribuire a mitigare i pregiudizi che spesso ci confondono e la paura che i media, soprattutto in questo periodo, contribuiscono ad alimentare.

L’Islam è la seconda religione monoteista per numero di fedeli (circa il 23% della popolazione mondiale, stanziata soprattutto in Asia e in Africa), è stata fondata dal profeta Muhammad nel 622 a Medina, città in cui dovette rifugiarsi scappando da La Mecca: la fuga, o Egira, sancisce proprio l’inizio del computo cronologico islamico.
La religione si basa su cinque pilastri che ogni credente deve osservare: la testimonianza (shahada), che dimostra l’adesione del fedele; la preghiera (salat), da effettuarsi cinque volte al giorno a intervalli stabiliti; l’elemosina (zakat) ai poveri e bisognosi, in relazione alle proprie possibilità; il periodo di ramadan, ovvero di digiuno diurno; il pellegrinaggio a La Mecca (hajj), almeno una volta nella vita.
Il testo sacro dei musulmani è il Corano (al-Qur’an), considerato come l’ultima affermazione, mai più modificabile, della volontà divina attraverso la voce dell’ultimo profeta Muhammad. Non vengono riconosciuti come testi sacri quelli delle altre grandi religioni monoteiste, in quanto di origine divina ma corrotti dal tempo e della malizia degli uomini, sebbene vi siano molti profeti in comune, tra i quali Adamo (primo profeta), Abramo, Isacco, Noè, Mosè, Giuseppe, e lo stesso Gesù. Altro testo molto importante è la Sunna, ovvero la raccolta, prima orale poi scritta, di detti (o non detti) e azioni (o inazioni) imputati al Profeta.
Il luogo deputato al culto, ma non indispensabile, è la moschea (masjid), che viene anche descritta come luogo di incontro, di studio e di riposo. A livello artistico, la moschea è forse la più grande rappresentazione dell’arte sacra islamica, caratterizzata soprattutto dalla geometria delle forme, come collegamento tra dimensione umana e divina e come prova delle grandi conoscenze matematiche conseguite dal popolo arabo, e dall’assenza di raffigurazioni umane, in quanto nessun uomo, tranne il Profeta, può intercedere presso Dio. Né il muezzin (Muʾadhdhin), che chiama alla preghiera, né l’imam, esperto della liturgia, né gli ulema ('Ulam’a), profondi conoscitori e interpreti dei testi sacri (diremmo “teologi”), sono infatti da considerare paragonabili ai nostri sacerdoti.

All’interno dell’Islam sono nate nei secoli diverse correnti.
Il gruppo più importante per numero di fedeli è quello sunnita (87-90%), che riconosce la validità della Sunna come testo sacro e si arroga la vera e giusta interpretazione del Corano; è maggioritario in tutti i Paesi islamici tranne Iran, Iraq, Azerbaijan, Libano, Bahrein e Oman.
Al secondo posto si collocano gli sciiti, la minoranza più rappresentata (10-13%), che diventa maggioranza nei Paesi sopraccitati. Essi si richiamano all’eredità di ʿAlī ibn Abī Ṭālib, cugino e genero di Muhammad, che avrebbe dovuto essere il suo primo successore, o Califfo, ma venne preceduto da altri tre che gli sciiti non riconoscono. Questo contenzioso non è mai stato risolto e ha dato luogo nella storia a numerosissime e sanguinosissime guerre, e tutt’ora è causa di attriti fra gli Stati di religione islamica.
Il terzo gruppo è costituito dai kharigiti, un tempo molto più numerosi, di cui sussiste oggi solo l’ala ibadita: sostanzialmente essi si oppongono al Califfo Ali che, a loro dire, avrebbe usurpato il trono legittimo del Califfo ‘Othmàn ibn ‘Affàn.
Vi sono poi altri culti di derivazione islamica ma considerati molto lontani dall’ortodossia. I più conosciuti sono gli alawiti, una setta minoritaria di ispirazione sciita, noti alle cronache per essere il credo di appartenenza della famiglia reale siriana; i drusi, fedeli alla predicazione dell’egiziano al-Darazi e oggi presenti in piccoli gruppi solo in Libano, Siria, Giordania e Israele; i sikh, indiani monoteisti che si dichiarano musulmani anche se molti esperti ritengono si tratti ormai di una religione a sé stante; gli yazidi, che professano un culto sincretista iracheno molto antico e che presenta alcuni tratti in comune con l’islam (come pure con il cristianesimo e con l’ebraismo).

Vi sono due termini legati alla religione musulmana molto usati nelle cronache di attualità, a volte a ragione, spesso in maniera imprecisa.
Uno di questi è sharia: si tratta della legge di Dio, che riguarda il culto e gli obblighi rituali, e deve essere quindi slegata dalla giurisprudenza. Solo in alcuni casi la legge divina diventa legge dello Stato, come ad esempio in Iran e in Arabia Saudita: purtroppo anche gli ulema convengono che la pena di morte sia prevista e giustificata in caso di omicidio, adulterio, blasfemia e apostasia. Tutti gli altri casi di cui sentiamo parlare, come ad esempio le esecuzioni per omosessualità, non sarebbero quindi previsti. Nemmeno è previsto un trattamento offensivo o di sottomissione nei confronti delle donne, cui il Corano stesso riconosce diritti e doveri pari a quegli degli uomini. Ancora una volta, come possiamo vedere, è l’interpretazione sbagliata di alcuni passi dei testi sacri che determina sofferenze inaudite (ma non è forse un caso simile a quello dei roghi contro eretici e streghe?).
Il secondo termine è jihad, la cui traduzione più semplice è “sforzo”. È possibile quindi tutta una serie di possibili significati, tra i quali sembra prevalere lo slancio per raggiungere un dato obiettivo e può fare riferimento allo sforzo spirituale del singolo individuo per migliorare sé stesso. Nondimeno, molti gruppi politici e religiosi hanno utilizzato la parola jihad unicamente con il significato di “guerra santa”, che è poi la connotazione che generalmente le viene riconosciuta in occidente.

A conclusione di questo articolo, vorrei ricordare che arabi e musulmani non sono lo stesso popolo: Allah parla a Muhammad in arabo perché egli è arabo, la capitale dell’islam è in Arabia Saudita e da qui è partita la conversione di molti altri popoli. Ma non tutti gli arabi sono musulmani, né tantomeno tutti i musulmani sono arabi: anzi, la maggioranza dei musulmani sta in Asia centrale e orientale (tra gli altri Turkmenistan, Uzbekistan, Afghanistan, Pakistan, Indonesia, Cina); e altri Paesi a maggioranza musulmana non sono arabi: ad esempio Turchia, Iran, Nigeria.

giovedì 4 febbraio 2016

Confessioni della religione cristiana


Tutti sappiamo più o meno cosa sia la religione cristiana: si tratta di un culto basato sulla vita e sulla predicazione di Gesù di Nazareth (Yeshua in aramaico), fondato dai suoi stessi discepoli, di cui il più importante e conosciuto è San Pietro. Nei suoi duemila anni di esistenza, però, il cristianesimo è stato protagonista di innumerevoli dispute sulla vera essenza di Dio e del suo messaggio, tramandato tramite Suo figlio, ma spesso deviato, influenzato o mal interpretato dagli uomini: ne sono conseguite guerre, persecuzioni, lutti e morti, scismi, eresie (termine che deriva dal greco e può significare “scegliere” o “eleggere”, quindi originariamente privo della connotazione negativa che oggi gli viene comunemente riconosciuta).

Vorrei fissare l’attenzione sulle diverse confessioni che sono nate in questo lungo periodo, partendo da quelle più diffuse e vicine a noi.

Il cattolicesimo si identifica con la Chiesa di Roma e conta il maggior numero di fedeli al mondo. Riconosce l’autorità del vescovo di Roma, il Papa, come successore dell’apostolo Pietro, e si basa sui dettami dei padri della Chiesa, di volta in volta confermati o modificati dai concili ecumenici. Le caratteristiche principali sono certamente note alla maggioranza degli italiani: l’individuo segue un percorso nella propria vita che è segnato da alcune scadenze, simboleggiate dai sacramenti (battesimo, confessione, prima comunione, cresima, matrimonio, sacerdozio, estrema unzione), volto a scegliere il bene per ottenere l’accesso al paradiso ed essere ammesso nel Regno dei Cieli dopo il giudizio universale, atteso per la fine dei tempi; vi sono un certo numero di dogmi (cioè di regole e dettami cui bisogna credere senza porsi nessuna questione) quali la Trinità, ovvero la natura tripartita della divinità (padre, figlio e spirito santo), la verginità della madre di Gesù (Maria, il cui culto è anch’esso diffusissimo nell’Europa cattolica e in Sud America); la resurrezione di Gesù dopo tre giorni dalla morte in croce; il sacerdote è vicario di Dio e può raccogliere la confessione e perdonare i peccati.

In Europa orientale, parte dell’Asia e parte dell’Africa il culto che conta il maggior numero di fedeli è quello ortodosso, emanazione delle Chiese di lingua greca sorte nell’Impero romano d’Oriente. All’interno di questa confessione vi sono moltissime suddivisioni, che corrispondono generalmente allo Stato che le ospita (rito greco, rito russo, rito bulgaro e così via) o addirittura alla città (Gerusalemme, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli). Esistono inoltre le Chiese ortodosse orientali: siriaca, copta (Egitto), armena, etiope, eritrea.
Lo scisma tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa è avvenuto nel 1054, quando i due capi, papa Leone IX e il patriarca Michele I Cerulario, si scomunicarono a vicenda: quello che appare più come una disputa politica venne a determinare una frattura anche in termini teologici e dottrinali, mai più rinsaldata.
Il culto rimane sostanzialmente molto simile a quello cattolico. Le differenze principali riguardano: una parte della preghiera detta “Credo”, l’autorità del papa e del patriarca di Costantinopoli (cioè su chi sia il più importante), il cesaropapismo (riconosciuto dagli occidentali), alcune norme liturgiche.
L’altra importante confessione diffusa in Europa occidentale e in Nord America è quella protestante: nata nel XVI secolo con le riflessioni teologiche di Martin Lutero (luteranesimo), Jean Cauvin (calvinismo), Huldrych Zwingli (zwinglianesimo o Chiesa riformata svizzera), e altri, è diventata Chiesa ufficiale in molti Paesi. La Chiesa anglicana, ad esempio, è assurta definitivamente a Chiesa ufficiale nel Regno Unito dopo lo scisma voluto dal re Enrico VIII per discordie con il papa: da allora il monarca o la regina sono anche capo della Chiesa oltre che dello Stato. L’idea centrale del protestantesimo è la pesante critica alla Chiesa cattolica romana e ad alcune pratiche molto frequenti nel medioevo, quali il culto dei santi (considerato simile al politeismo), la vendita di cariche ecclesiastiche e di indulgenze, l’invenzione del purgatorio come luogo di espiazione dei peccati (che a sua volta favoriva la vendita di indulgenze a favore del defunto). Le differenze riguardano quindi più l’aspetto spirituale e lo stile di vita che l’aspetto confessionale: la più grande innovazione in questo ambito è però il sacerdozio universale dei credenti, che quindi possono leggere e interpretare le scritture, confessarsi e comunicare con Dio se lo desiderano, senza doversi obbligatoriamente rivolgere al sacerdote (figura comunque esistente) e senza necessitare di indulgenze.
All’interno della confessione protestante vi sono altri culti, poco diffusi in relazione a quelli già citati ma che vengono spesso nominati, anche erroneamente. Tra questi vorrei ricordare i mennoniti, la più numerosa delle Chiese anabattiste (cioè che rifiutano il battesimo, soprattutto dei bambini appena nati), che sostanzialmente ricerca un ritorno alle origini del cristianesimo, rifiutando gli scritti dei padri della Chiesa e tutti i concili a partire dal quello di Nicea I (325); gli amish, che sono anche i più riconoscibili a livello estetico perché, rifiutando la modernità, vivono in comunità separate dal mondo esterno, vestono abiti fatti a mano e gli uomini portano lunghe barbe, inoltre utilizzano cavalli e carri come mezzi di trasporto e fanno quasi a meno dell’energia elettrica nelle loro attività quotidiane; i quaccheri (o Società degli Amici), spesso confusi con gli amish, propongono il sacerdozio dei credenti, il rifiuto delle gerarchie ecclesiastiche e dei sacramenti, l’abolizione della schiavitù, il divieto di bere alcolici, il ripudio della guerra.

Un paragrafo a parte merita il movimento detto restaurazionismo, utilizzato per intendere un complesso di chiese e comunità che nascono dal desiderio di tornare alla chiesa cristiana primitiva e che si manifesta in varie forme. Le comunità più estese fra queste sono: i mormoni, caratterizzati dalla figura individuale del primo fondatore e aventi come testi sacri il libro di Mormon e libri aggiuntivi, oltre la Bibbia, dove le dottrine cristiane vengono rielaborate in modo completamente univoco e originale; i testimoni di Geova, che ripropongono il cristianesimo del I secolo che prevede la predicazione di casa in casa, si identificano con l'opera missionaria fatta da Gesù e dai suoi discepoli predicando quella che definiscono "la buona notizia del Regno"; la Chiesa di Cristo, organizzata in comunità di credenti che riconoscono la piena ispirazione di tutta la Bibbia e per le quali il rispetto di tutto quanto in essa è contenuto è l'unico mezzo per fare la volontà di Dio. Sottolineo che sia mormoni che testimoni di Geova non sono riconosciuti come cristiani dalle altre chiese.

Infine, vorrei citare l’avventismo, che trae le sue origini dalla predicazione di William Miller, il quale prevedeva il ritorno di Gesù Cristo nel periodo 1843-1844; dopo la mancata venuta il movimento si disperse ma uno dei gruppi fondò la Chiesa avventista del settimo giorno, caratterizzata dall’aspettativa di un ritorno del Messia, dal rifiuto dell’inferno e dell’anima immortale, da uno stile di vita naturale, da attività sociali e solidali, dal riconoscimento del sabato come festività.

mercoledì 3 febbraio 2016

Pechino


Il viaggio a Pechino (14-28 aprile 2005) è stato per me il più particolare, straordinario e shoccante della mia vita.
Si è svolto nell’ambito dei viaggi curricolari previsti dalla mia scuola, che vista la destinazione e dato che si trattava del primo rapporto con la Cina, è stato deciso di affidarci all’esperienza dell’Associazione Intercultura (conosciuta nel mondo come AFS), che ogni anno invia in e riceve da tutto il mondo ragazzi per scambi studenteschi e medi-lunghi periodi di residenza e studio.
Al viaggio hanno partecipato undici persone, di cui otto studenti, due insegnanti e un ospite.

I dati, i nomi e le informazioni che seguono sono tratti principalmente dal diario che ho tenuto durante tutto il soggiorno.

Vorrei cominciare parlando della città, delle persone che ho conosciuto e del comportamento di queste in alcuni casi.
I primi aggettivi che mi vengono in mente riguardo a Pechino sono caotica, sporca, puzzolente. Spero che nel frattempo, anche in occasione delle Olimpiadi del 2008, qualcosa sia stato sistemato, perché la mia esperienza in questo ambito è stata tutt’altro che positiva. Catapecchie fatiscenti a dir poco e palazzi popolari lasciano talvolta spazio a grattacieli e costruzioni modernissime; venditori ambulanti e senzatetto che raccolgono bottiglie di plastica per racimolare qualche centesimo scompaiono di fronte ai centri commerciali alla maniera occidentale che, a mio parere, tanto stridono con l’identità cinese. Detto questo, le case all’interno possono anche essere pulite e ben arredate, come è stato il mio caso.
La mia famiglia era infatti, da quello che ho capito, piuttosto benestante (la madre lavora in banca), con una bella automobile, il mio “fratello” cinese era un tipo emancipato e vivace, dagli hobby molto simili a quelli di un comune ragazzo occidentale. Mi sono trovato molto bene con loro, non mi hanno fatto mancare niente, tranne la buona cucina di casa…
Per quanto riguarda le norme di comportamento, anche in questo caso ci troviamo di fronte a enormi contraddizioni: uno studente è obbligato a pensare solo alla scuola e alle attività collegate (sport, musica, teatro), e a nient’altro, gli è fatto divieto infatti di avere (almeno ufficialmente) una ragazza o un ragazzo, di uscire la sera, di andare in un bar, perché potrebbe fargli perdere tempo destinato allo studio. Di conseguenza, gli insegnanti sono venerati e considerati educatori più importanti dei genitori, e possono impartire punizioni anche gravi ai ragazzi, ad esempio la pulizia dei locali della scuola. Dall’altro lato, le persone adulte si comportano talvolta in malo modo, almeno per i nostri gusti: mi sovviene una scena al ristorante in cui il nostro “papà” ha avuto un atteggiamento molto maleducato nei confronti del personale, non so perché; inoltre, il comportamento a tavola non è dei più corretti, sempre secondo il nostro modo di vedere, ma vorrei lasciare questa parte all’immaginazione…

La parte più interessante riguarda però i luoghi che abbiamo visitato.
Il primo posto è naturalmente occupato dalla Grande Muraglia (si chiama così in cinese, non “Muraglia Cinese”!), cui ci siamo recati un sabato: abbiamo avuto la possibilità di camminarci per un breve tratto, nel caos delle centinaia di turisti, e di fare dei piccoli acquisti. Questo tipo di esperienza giustifica da solo il viaggio.
Successivamente, è d’obbligo citare altri luoghi di interesse interni alla città. Il Museo delle Arti Povere non è un museo: è un agglomerato di botteghe dove artigiani specializzati producono oggetti e li vendono. Piazza Tien an men da sola è grande come una piccola città, vi soffia sempre un forte vento secco, ed è come noto la sede di tutti i monumenti di propaganda governativa, ma non solo. Vi sorge infatti la Città Proibita, cioè la vecchie residenza delle concubine dell’imperatore, cui solo lui e i servitori eunuchi potevano accedere: oggi è tutt’altro che proibita, anzi è uno dei luoghi più visitati.
Durante i quindici giorni di permanenza, ci siamo recati con frequenza anche fuori città.
La memoria va subito a un tempio buddista chiamato Xi shan ba da chu, situato sul fianco di una collina, ricco di statue, monumenti, e con un grazioso corso d’acqua nel mezzo: un luogo di pace e tranquillità che pare lontanissimo dal traffico cittadino. Tornando dalla Muraglia, è possibile visitare le tombe della dinastia Ming: a dire il vero, non mi è mai stato chiaro dove fossero le tombe, ma anche solamente i leoni e gli altri animali che sorvegliano il sentiero lastricato suscitano un certo fascino (stile “Mulan” per capirci). Vorrei ricordare inoltre la residenza estiva dell’imperatrice CiXi, una serie di edifici monumentali affacciati su un grazioso lago. Due sono state le nostre visite a luoghi molto particolari: il primo è un villaggio biologico, ovvero dove si produce rispettando l’ambiente, riciclando, utilizzando energia pulita (in Italia e in Europa sono molto diffusi, ma vi assicuro che in Cina è una mosca bianca); il secondo è un orfanotrofio per bambini molto piccoli nati con malformazioni, fondato e finanziato da una famiglia americana.

È giunto il momento di parlare della scuola.
Come ho già detto, l’istruzione e il rispetto per gli insegnanti e i luoghi di studio sono obbligatori e centrali nella vita un ragazzo cinese. Le lezioni, cui ho avuto la fortuna di partecipare, si svolgono in maniera molto silenziosa e ordinata, il professore parla e gli studenti ascoltano, intervengono solo se interpellati, subiscono punizioni si vario tipo in relazione allo sgarro compiuto.
La forza del regime si vede, come è ovvio, anche e soprattutto qui. Ogni lunedì tutti gli studenti (parliamo nel mio caso di qualche migliaio) si pongono in file ordinate nel campo da calcio, guardano l’alzabandiera, ascoltano prediche da parte di insegnanti o altre autorità, in assoluto silenzio.
Nonostante tutta questa attenzione alla forma, posso assicurare che almeno la mensa e i bagni sono tutt’altro che efficienti né puliti come dovrebbero. Anche qui mi affido alla vostra immaginazione…

A scuola, però, abbiamo avuto la fortuna di partecipare ad alcune lezioni certamente fuori dall’ordinario: non solo alcune ore dedicate allo studio di un piccolo frasario cinese, ad esempio saluti, presentazione, e cose simili, tenute da insegnanti di inglese che quindi potevano facilmente tradurre; parlo soprattutto di lezioni riservate a noi di arte, grafia, disegno, taglio, Tai Chi, cui credo poche persone possono dire di aver partecipato.

martedì 2 febbraio 2016

Budapest


Sono stato due volte a Budapest, ma in questa sede vorrei concentrarmi sulla seconda (giugno 2014), che è più recente e quindi più viva nella mia memoria, e perché si è trattato di un soggiorno più lungo del primo.

Abbiamo deciso, la mia ragazza e io, di visitare questa città perché si presentava molto conveniente a livello di prezzi, sia del biglietto aereo che del pernottamento, e anche e soprattutto per incontrare un mio vecchio amico che non vedevo da parecchi anni, conosciuto addirittura in Cina (vedi post su Pechino). Siamo stati una settimana nella capitale ungherese, e anche in questo caso affermo senza dubbio che la merita tutta.
Il mio amico e la sua ragazza sono stati molto disponibili, ci sono venuti a prendere e poi ci hanno anche accompagnato all’aeroporto, sono venuti assieme a noi diverse volte nelle nostre escursioni. Hanno contribuito insomma a rendere questa vacanza indimenticabile, sicuramente una delle migliori finora!

Riassumo brevemente i luoghi visitati.
In centro, indicativamente tra le sponde del Danubio e Deák Ferenc tér, troviamo la Basilica, la Sinagoga, il Parlamento (consiglio assolutamente la visita guidata), e l’Opera (merita anch’essa una visita). Nella zona di Hősök tere (Piazza degli eroi, con tanto di monumento commemorativo dei grandi re magiari) sorge il parco Városliget, davvero enorme, che offre tutta una serie di attività all’aria aperta, ospita un lago, lo zoo, il bagno termale Széchenyi (il più famoso e forse il più grande della capitale), il castello Vajdahunyadvár (costruito in occasione dell’Expo del 1896 con una commistione di stili architettonici unica). Quest’area richiede una giornata intera: per lo spuntino consiglio caldamente la pasticceria Gundel. Finora ho descritto la parte della città di Pest, più recente e anche più facile da girare vista la conformazione e il transito di diversi mezzi pubblici (metro, tram, autobus, filobus) a tutte le ore del giorno e della notte.
A Buda, una volta attraversato il fiume, domina il castello: vecchia residenza reale, ospita ora la Presidenza della Repubblica e la Galleria Nazionale.
Per rilassarsi, consiglio lunghe passeggiate lungo il Danubio, oppure sull’Isola Margherita (Margit-Sziget), sede dell’omonimo festival musicale. Da non perdere anche la gita in battello, che permette di conoscere e vedere la città da un punto di vista peculiare, soprattutto al crepuscolo mentre si accendono le luci.

Merita una visita, tempo permettendo, anche il lago Balaton, situato a circa un’ora di treno dal centro e facilmente raggiungibile. Si tratta di una vera e propria stazione balneare, con tanto di stabilimenti, giochi, attività, negozi, bar e ristoranti. Attenzione: l’acqua è piuttosto fredda!

Per quanto riguarda la sera, anche qui non c’è che l’imbarazzo della scelta: pub, club, ristoranti di tutti i tipi e per tutte le tasche. Il paradiso de giovani è nei pressi di Károly utca, sede della movida cittadina.
A noi però è successo qualcosa di speciale: durante il nostro soggiorno si festeggiava il venticinquesimo anno dalla fine della dittatura (Szabadság, semplicemente “libertà”), con un grande concerto gratuito, con Omega (storico gruppo ungherese) e Scorpions (sì, proprio quelli di “Wind of change”). Migliaia di persone, nessuna tensione, una grande festa, ottima musica. Cosa si può desiderare di più?

Abbiamo insomma lasciato un pezzo di cuore a Budapest, e non vediamo l’ora di tornarci.

Lisbona


Città bianca e meravigliosa appollaiata sul fiume “che già sembra il mare”. Prezzi accessibili. Laureando in lingua portoghese che brama per qualche fonte originale. Che ne dite di una settimana a Lisbona?
Butto l’idea a mio fratello e ad un amico, lo stesso del Cairo, e decidiamo per la prima settimana di agosto: per un questione di convenienza, ne esce un sabato-domenica successiva, cioè otto notti.
Inizio col precisare che chi penserà che una settimana da passare in una città, peraltro piuttosto piccola, senza mai praticamente uscirne, è moltissimo tempo, cade secondo me in errore. Vediamo perché.

Abbiamo predisposto una tabella di marcia piuttosto tranquilla (per i miei standard), più o meno un monumento/luogo di interesse ogni mezza giornata, tranne quelli che necessitano più tempo o più lontani. Provo a stilare un rapido elenco.
Il quartiere di Belem, zona ovest della città, lungo il fiume, merita certamente una visita: il Monumento ai naviganti e la Torre ci ricordano che un tempo le navi degli esploratori partivano proprio da qui; il Monastero dei Gerosolimitani è un capolavoro barocco imperdibile; una sosta alla Pastelaria de Belem, custode della ricetta originale dei pasticcini alla crema (pastéis de nata) lisbonesi, è un peccato di gola che vale la pena di commettere.
Spostiamoci dall’altra parte della città, a Oriente (questo anche il nome della zona). Già la stazione della metropolitana, sottostante quella ferroviaria, è un’opera d’arte: si tratta infatti di una creazione firmata da Antonio Calatrava, come peraltro anche altri palazzi adiacenti. Una volta usciti, si è già nell’area dell’Expo del 1998, con il Parco delle Nazioni, il Pavilhão (ora area concerti e spettacoli), l’Oceanário; inoltre vi sono molti negozi e bei ristoranti nei dintorni.
Concentrandoci ora sul centro, bisogna per forza di cose distinguere tra la parte alta, non per niente denominata proprio Bairro Alto (quartiere alto), sede di alcuni monumenti ma soprattutto cuore della movida, e la parte bassa, la Baixa. Qui si concentrano i maggiori luoghi di interesse, come la Piazza del Commercio, con in mezzo la celebre statua del poeta Luíz Váz de Camões, la Piazza del Rossio, tristemente nota per le esecuzioni in età medievale e moderna, il Castello di San Giorgio e la cattedrale, leggermente defilati.
Altri quartieri che meritano una visita sono la Graça, se non altro per il miradouro (belvedere), da dove si ammirano la città e i ponti sul fiume Tago, raggiungibile tramite lo storico tram 28; la Alfama, solo per perdersi nelle sue viuzze e scoprire scorci impareggiabili; Campo Pequeno e l’arena.
Già abbiamo stilato una bella lista, ma davvero ogni angolo di questa città è una meraviglia a sé.

Propongo inoltre due o tre gite fuori porta. Dico due o tre perché si possono accorpare.
Noi, ad esempio, abbiamo visitato Sintra, cittadina molto vicina alla capitale, con il suo castello in cima a una collina e la Quinta da Regaleira, palazzo davvero particolare con un parco da cartone animato, grotte, passaggi segreti, piccoli labirinti…eccezionale!
Da qui si può prendere un simpatico autobus scoperto, tempo permettendo, che ti scorrazza per stradine e paesini fino all’oceano, più precisamente a Cabo da Roca: si tratta del punto più a occidente del continente europeo. Non c’è niente: un monumento a picco sulla scogliera, che reca dei celebri versi dedicati dal già citato Camões proprio a questo luogo, vento impetuoso che sembra venire dall’infinito, e il sole che muore. Quindi, è come ci fosse tutto. Spero davvero che ci possiate andare un giorno.

Infine, per gli amanti del mare, dalla capitale si arriva in poco tempo, con il treno, nella località balneare di Cascais, vicina al più famoso Estoril (sede del circuito di motociclismo e di esilio della famiglia reale dei Savoia). Si tratta decisamente della patria europea degli amanti del surf, ma è frequentata anche da famiglie, in quanto l’acqua vicino alla riva non è molto profonda, e non mancano luoghi da visitare.

Insomma, cosa state aspettando?!

Il Cairo


Il mio soggiorno al Cairo si è svolto in maniera piuttosto particolare: si è trattato di tre giorni, inclusi quello di arrivo e quello di partenza, durante una settimana a Sharm-el-Sheikh. Tale situazione si è venuta a creare considerando, tramite un’agenzia viaggi, il costo di un viaggio di qualche giorno in Egitto (Il Cairo e Alessandria, oppure una di queste due), maggiore rispetto a quello di una settimana in villaggio turistico, volo interno per la capitale e due notti in hotel nella stessa. Incredibile! L’unica scomodità era la partenza a Bologna di mattina presto e l’arrivo la sera tardi, ma in fine dei conti in questo modo abbiamo guadagnato quasi due giorni pieni di vacanza.
Quindi, io e il mio amico che aveva proposto il viaggio abbiamo scelto questa opzione.

Poco da dire rispetto al villaggio turistico, tutto molto bello, organizzato, varie attività fra cui scegliere, mare stupendo e caldo nonostante il periodo (fine febbraio 2009). Tanto che poi, in occasione di una vacanza con i miei genitori, abbiamo deciso di recarci nello stesso resort.

Per quanto riguarda il Cairo, mi è da subito apparsa come una città molto caotica (ne avrei ben presto avuto la conferma una volta nel traffico), regolata visibilmente da raccomandazioni e conoscenze, forse da corruzione, inclusa quella delle forze di polizia. Per esempio, appena arrivati all’aeroporto e necessitando un taxi, abbiamo chiesto a un vecchietto che ci faceva anche tenerezza, che però è stato allontanato in malo modo da un poliziotto, il quale poi ci ha scortato da un suo “amico”. Va bene…
L’hotel era davvero lussuoso per i nostri canoni, con ristorante annesso, centrale, bastava scendere in strada e mischiarsi alla folla.

Però gli approfittatori sono sempre in agguato: la prima sera ci ferma un tale che si presenta in modo gentile e si offre di farci da guida, ci porta in un ristorante “fidato”, dove paghiamo sicuramente più del dovuto e comunque sopra la media, poi ci fa andare nel suo negozio di souvenir: compriamo due cose e poi teliamo.
Il giorno dopo, un altro personaggio ci si avvicina dicendo che offre un servizio di taxi, per andare dovunque, e ci propone un buon prezzo (a nostro giudizio) per accompagnarci alle piramidi di Giza. Era una destinazione obbligatoria, quindi accettiamo. Una volta lì, sembra non si possa entrare se non scortati dalla guida (NON è vero), ci dicono che si può andare a cavallo o con il cammello (perché non a piedi?): morale della storia, paghiamo di nuovo un prezzo esoso per sti due cavalli e la guida, che comunque si è dimostrata utile e ci ha fornito molte informazioni e curiosità. Alla fine della giornata, ritorniamo in città e siamo invitati nel negozio dello stesso tassista per un tè e magari acquistare dei souvenir. Per quanto mi riguarda, ho acquistato a quello che ritengo una cifra accettabile un bel papiro, lungo circa un metro per trenta centimetri di altezza, sviluppato in orizzontale, che ancora tengo appeso in camera.

Oltre a queste esperienze, abbiamo sfruttato il nostro tempo per visitare il famosissimo museo egizio, a mio modo di vedere caotico come tutto il resto, con migliaia di reperti ma scarse informazioni (quando presenti), e per una bella passeggiata lungo il Nilo, durante la quale per caso abbiamo anche intravisto l’ambasciata italiana.

Nonostante tutto quello che ho descritto possa sembrare negativo, si tratta di una città da visitare assolutamente, magari aspettando tempi migliori per la politica locale.

Brighton


Il viaggio a Brighton ricorda, in un certo qual modo, quello a Norwich, non fosse altro perché si trattava sempre di Inghilterra, perché la nostra permanenza era regolata da una tabella di marcia e da orari molto simili, e perché eravamo ospitati da famiglie.
Presenta però anche molte diversità: è stato infatti molto più lungo (quattro settimane), non eravamo presenti come “classi” ma come “migliori” studenti del nostro anno, provenienti da due scuole (noi di Treviso più o meno ci conoscevamo tutti almeno di vista), la nostra attività principale non era lo studio ma il lavoro, sotto forma di stage istruttivo…
Ma passiamo a descrivere il tutto nel dettaglio.

Il viaggio era stato proposto dalla nostra scuola alle classi quarte, con un bonus per i migliori studenti delle classi terze, nell’ambito del progetto Leonardo: si proponeva un soggiorno di quattro settimane (una di studio di microlingua e tre di stage) in Inghilterra, Spagna o Germania. Io ho scelto l’Inghilterra, e sono stato inserito in un gruppo di venti ragazzi (di cui due maschi e diciotto femmine), per il periodo metà agosto-metà settembre 2005.

Devo sottolineare che sia le ore di studio, in cui si parlava e si svolgevano test (il nostro livello di inglese già doveva essere alto per essere ammessi, quindi non abbiamo dedicato molto tempo a grammatica o concetti base), sia il lavoro, che consisteva più che altro nell’aiutare i dipendenti delle diverse realtà in cui eravamo inseriti, passavano molto in fretta: parlo di circa sei ore al giorno, contro moltissimo tempo per lo svago, tranne per alcuni di noi che lavoravano fuori città e quindi dovevano passare anche molto tempo sui mezzi pubblici.
Il tempo libero comprendeva ritrovo al centro, rappresentato dalla Churchill Square, intorno alla quale c’erano negozi, ristoranti e club, e poi una passeggiata sul lungomare, oppure fino al Brighton Pier (molo che ospita bancarelle, chioschi, e un vero e proprio luna park alla fine). La sera si poteva scegliere tra diversi pub, il più gettonato da noi era uno col biliardo, o club quali il famoso “Event”: attenzione però che non eravamo tutti maggiorenni quindi a volte siamo stati rimbalzati (a me è successo per il mio abbigliamento e come Doc in Ritorno al futuro ho pensato: “Chi se ne frega!”); oppure il già citato Pier. Gli orari di ritorno erano più elastici perché la nostra famiglia ci aveva dato un mazzo di chiavi, ma comunque limitati dai mezzi pubblici, se non volevamo camminare un bel po’.

Abbiamo inoltre occupato, con una buona auto-organizzazione, i weekend:in due occasioni ci siamo recati a Londra, che abbiamo potuto visitare in maniera esaustiva, ma senza entrare nei musei o nei palazzi, dedicando anche, per la gioia delle molte ragazze del nostro gruppo, un pomeriggio ad Harrod’s. Abbiamo anche trovato il coraggio di andare al mare, e alcuni di noi anche la pazzia di fare il bagno (secondo voi avrei potuto esimermi?): comunque posso affermare con cognizione di causa che il Canale della Manica in settembre non è il litorale più ospitale, ammesso che lo sia in altri periodi!

Infine, devo riportare un piccolo (grande se dovesse essere confermato) rammarico: il mio compagno di stanza giura di aver visto Ozzy Osbourne sulla spiaggia mentre io ero rimasto a finire un lavoro…spero non sia vero!

Norwich


Il viaggio a Norwich è quello più distante nel tempo di cui parlerò in questo blog. È stato molto importante per me, tanto da comportare dei cambiamenti profondi nel mio essere e nel mio modo di relazionarmi con il mondo, paragonabile soltanto al viaggio in Brasile di cui avrete resoconto tra qualche puntata. Vediamo perché.

In primo luogo, si è trattato, per quanto mi riguarda, del primo viaggio “lungo” (due settimane) senza i miei genitori o altri componenti della mia famiglia: fu infatti il mio primo viaggio-studio, all’età di 16 anni, nel febbraio 2004, con la mia ed un’altra classe, e alcuni insegnanti. La nostra sistemazione comprendeva vitto e alloggio, in coppia, presso famiglie ospitanti.
La tabella di marcia prevedeva la partecipazione alle attività di una scuola di lingua inglese per stranieri, cioè lezioni al mattino e altre attività, quali escursioni e conversazioni, al pomeriggio; una visita a Londra e una a Cambridge. Data la nostra giovane età, le uscite extra erano limitate la sera (fino alle 23 mi sembra di ricordare) e nei weekend, ma spesso le famiglie si accordavano per attività comuni.
Era inoltre la prima volta che viaggiavo in aereo. Successivamente, avrei volato almeno una volta l’anno (spesso anche di più), tranne proprio in questo 2015 che però non si è ancora concluso.

Di Norwich ricordo in particolar modo il clima, piuttosto freddo (ha anche nevicato in qualche occasione) ma non così umido come ci si potrebbe aspettare dall’Inghilterra; la conformazione della cittadina, su più collinette, in modo che il centro risultava rialzato e dominante rispetto alla periferia; il City Hall, moderna costruzione di vetro e acciaio nel centro in stile gotico, come la vicina chiesa; il Marketplace, piazza del mercato dove spesso trascorrevamo le nostre ore libere; il King’s pub, l’unico che faceva entrare e vendeva alcolici ai minorenni (peccati di gioventù…); il castello in alto su una collina che ospitava al suo interno il Castle Mall…ripensandoci, mi ricordo un sacco di cose nonostante il tempo trascorso!

Berlino (secondo viaggio)


Il mio secondo viaggio a Berlino è stato una vera e propria corsa contro il tempo: in tre giorni, praticamente (considerando che siamo arrivati il lunedì pomeriggio con nessuna voglia di andare in giro e che siamo partiti il venerdì mattina), ho dovuto concentrare il maggior numero di luoghi da visitare possibili, visto che la mia ragazza che è venuta con me non ci era mai stata. Sottolineo che si è trattato del primo viaggio insieme, nel marzo del 2012, pianificato anche in occasione della mia laurea, ma anche e soprattutto per stare assieme qualche giorno.

L’hotel, modesto due stelle, era collocato sulla Wittembergplatz, per capirci all’inizio della Ku’damm e dove si incrociano tre linee di metro e diverse linee di autobus diurni e notturni, in un palazzo che ospitava diverse attività commerciali e ricettive, e per questo non facile da rintracciare. Comunque, considerando anche il prezzo pagato e soprattutto la posizione centralissima, non ci possiamo lamentare.

Ora, per quanto riguarda le visite, abbiamo quasi completamente doppiato quelle effettuate la mia prima volta, saltando però di entrare nei musei per questioni di tempo, ma abbiamo aggiunto il Duomo, la cittadella medievale di Spandau, Alexanderplatz vista bene stavolta (senza la neve), il famoso zoo di Berlino.
Abbiamo cenato fuori, spesso in ristorantini carini ma privilegiando sempre la tipicità, preferendo magari uno spuntino a pranzo dopo una colazione più che abbondante, e qualche buon dolce ogni tanto! Ricordo con particolare affetto il già citato Alt Biersalon, la pasticceria di Spandau, il ristorante al secondo piano del Sony Center.

Non sono mancati gli screzi, dovuti soprattutto alla novità della convivenza e al fatto che ancora non ci eravamo ben addomesticati (cit. “Il piccolo principe”), e al ritmo che cercavo di tenere nelle visite per non farle perdere niente. Devo dire che effettivamente ho un po’ esagerato in questo.

Comunque sia, sono qui a parlarne con emozioni positive, inoltre siamo ancora assieme oggi più che mai, quindi tutto è bene quel che finisce bene!