Il mio primo viaggio a Berlino, da stage che avrebbe dovuto essere, è stato quasi una vera e propria vacanza, con tutto quello che ne consegue.
Anche in
questo caso, la mia scuola ci propone la possibilità di fare il tirocinio
obbligatorio all’estero: si apre una finestra su Berlino, e io e altri due miei
compagni non ce la facciamo sfuggire. Veniamo a conoscere il periodo, gennaio
2006, compriamo i biglietti e prepariamo i bagagli con i vestiti pesanti: si
parte!
Arriviamo
dopo due cambi di metropolitana in una stazione posta sopra il fiume
(interscambio tra le linee 1 e 7, me lo ricordo come fosse ieri), “scendiamo” e
ci avviamo su questa strada a senso unico (abbiamo poi scoperto che l’altro
senso di marcia era dall’altro lato dello stesso fiume) e ci presentiamo. La
sede principale però, era esattamente dirimpetto: torna indietro, valigie e
tutto, io con un raffreddore che non vi dico, passa il ponte e “Guten Abend!”.
Una volta
sistemati nella camera, veniamo a sapere che il nostro lavoro consisterà
principalmente nell’aiutare a preparare e servire la colazione, lavare e pulire
a servizio terminato, e poi svolgere altre piccole mansioni (incluso spalare la
neve e trasformare una sala colazioni in sala conferenze e poi ritornare alla
conformazione originale) per un totale di circa sette ore lavorative al giorno,
con due riposi variabili la settimana. Perfetto! Ciò significava che avremmo
avuto tutti i pomeriggi e le sere libere, nonché alcuni giorni interi, a
discapito solamente delle levatacce mattutine. La colazione era ovviamente
compresa, da consumare piuttosto velocemente prima della venuta dei clienti,
mentre per gli altri pasti ci si doveva arrangiare. Ma la struttura disponeva
anche di una cucina comune e di un frigorifero dove conservare i propri cibi,
confidando nel buon senso degli ospiti, generalmente giovani disponibili e dal
grande spirito di adattamento (come la denominazione di “ostello” richiederebbe
peraltro). Aggiungiamo una lavanderia a gettoni liberamente utilizzabile e
abbiamo ottenuto tutti i servizi primari a prezzo molto vantaggioso.
Grazie
all’organizzazione degli orari descritta sopra, abbiamo potuto visitare la
città in lungo e in largo. Parliamo di Isola dei Musei, con il famoso Pergamon, il viale Unter den Linden, Alexanderplatz
(anche se velocemente perché “c’era la neve” come nella canzone di Battiato), la
Porta di Brandeburgo e Pariserplatz, il Tiergarten,
il Sony Center (presso Potsdamerplatz),
Checkpoint Charlie, i resti del Muro
vicino alla Sprea, il pittoresco quartiere di Spandau, lunghe camminate per la Ku’damm, la via dei negozi e delle
attrazioni, i famosissimi magazzini Ku’dorf,
paragonabili all’Harrod’s londinese,
il campo di concentramento di Sachsenhausen (appena fuori città), e chi più ne
ha più ne metta.
La sera non
c’era che l’imbarazzo della scelta. A nostro gusto abbiamo privilegiato i pub e
i tipici Biergarten, ma non abbiamo
mancato alcune serate in discoteca e la festa di compleanno di una nostra
collega.
Vorrei
infine ricordare di questo soggiorno un incontro inaspettato: recatici all’Alt Berliner Biersalon, secondo il
nostro stile, per una birra e uno spuntino di fine giornata, ci rendiamo presto
conto di essere gli unici clienti (l’ora era molto tarda), assieme ad altri due
accomodati a una certa distanza da noi. Osservando bene uno dei due, mi sembra
di riconoscere l’attore Jeff Goldblum, protagonista de “Il mondo perduto” di Steven
Spielberg (già coprotagonista nel primo capitolo di “Jurassic Park”) e di “Independence Day” di Roland Emmerich, tra gli altri.
I miei amici dubitano (“che cavolo ci fa un attore di Hollywood qui, da
solo?”). Senonché, dopo un po’, vediamo i camerieri che vanno a chiedere di
fare delle foto con lui. Scatto e ne chiedo una a mia volta: ci mettiamo tutti
davanti all’obiettivo, e io rimango tagliato!
A presto
con il secondo capitolo su Berlino!
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