sabato 6 febbraio 2016

Confessioni della religione islamica


Dopo aver parlato dei vari culti che compongono la religione cristiana, è interessante e doveroso secondo me descrivere brevemente anche le correnti della religione islamica. Questo forse potrà contribuire a mitigare i pregiudizi che spesso ci confondono e la paura che i media, soprattutto in questo periodo, contribuiscono ad alimentare.

L’Islam è la seconda religione monoteista per numero di fedeli (circa il 23% della popolazione mondiale, stanziata soprattutto in Asia e in Africa), è stata fondata dal profeta Muhammad nel 622 a Medina, città in cui dovette rifugiarsi scappando da La Mecca: la fuga, o Egira, sancisce proprio l’inizio del computo cronologico islamico.
La religione si basa su cinque pilastri che ogni credente deve osservare: la testimonianza (shahada), che dimostra l’adesione del fedele; la preghiera (salat), da effettuarsi cinque volte al giorno a intervalli stabiliti; l’elemosina (zakat) ai poveri e bisognosi, in relazione alle proprie possibilità; il periodo di ramadan, ovvero di digiuno diurno; il pellegrinaggio a La Mecca (hajj), almeno una volta nella vita.
Il testo sacro dei musulmani è il Corano (al-Qur’an), considerato come l’ultima affermazione, mai più modificabile, della volontà divina attraverso la voce dell’ultimo profeta Muhammad. Non vengono riconosciuti come testi sacri quelli delle altre grandi religioni monoteiste, in quanto di origine divina ma corrotti dal tempo e della malizia degli uomini, sebbene vi siano molti profeti in comune, tra i quali Adamo (primo profeta), Abramo, Isacco, Noè, Mosè, Giuseppe, e lo stesso Gesù. Altro testo molto importante è la Sunna, ovvero la raccolta, prima orale poi scritta, di detti (o non detti) e azioni (o inazioni) imputati al Profeta.
Il luogo deputato al culto, ma non indispensabile, è la moschea (masjid), che viene anche descritta come luogo di incontro, di studio e di riposo. A livello artistico, la moschea è forse la più grande rappresentazione dell’arte sacra islamica, caratterizzata soprattutto dalla geometria delle forme, come collegamento tra dimensione umana e divina e come prova delle grandi conoscenze matematiche conseguite dal popolo arabo, e dall’assenza di raffigurazioni umane, in quanto nessun uomo, tranne il Profeta, può intercedere presso Dio. Né il muezzin (Muʾadhdhin), che chiama alla preghiera, né l’imam, esperto della liturgia, né gli ulema ('Ulam’a), profondi conoscitori e interpreti dei testi sacri (diremmo “teologi”), sono infatti da considerare paragonabili ai nostri sacerdoti.

All’interno dell’Islam sono nate nei secoli diverse correnti.
Il gruppo più importante per numero di fedeli è quello sunnita (87-90%), che riconosce la validità della Sunna come testo sacro e si arroga la vera e giusta interpretazione del Corano; è maggioritario in tutti i Paesi islamici tranne Iran, Iraq, Azerbaijan, Libano, Bahrein e Oman.
Al secondo posto si collocano gli sciiti, la minoranza più rappresentata (10-13%), che diventa maggioranza nei Paesi sopraccitati. Essi si richiamano all’eredità di ʿAlī ibn Abī Ṭālib, cugino e genero di Muhammad, che avrebbe dovuto essere il suo primo successore, o Califfo, ma venne preceduto da altri tre che gli sciiti non riconoscono. Questo contenzioso non è mai stato risolto e ha dato luogo nella storia a numerosissime e sanguinosissime guerre, e tutt’ora è causa di attriti fra gli Stati di religione islamica.
Il terzo gruppo è costituito dai kharigiti, un tempo molto più numerosi, di cui sussiste oggi solo l’ala ibadita: sostanzialmente essi si oppongono al Califfo Ali che, a loro dire, avrebbe usurpato il trono legittimo del Califfo ‘Othmàn ibn ‘Affàn.
Vi sono poi altri culti di derivazione islamica ma considerati molto lontani dall’ortodossia. I più conosciuti sono gli alawiti, una setta minoritaria di ispirazione sciita, noti alle cronache per essere il credo di appartenenza della famiglia reale siriana; i drusi, fedeli alla predicazione dell’egiziano al-Darazi e oggi presenti in piccoli gruppi solo in Libano, Siria, Giordania e Israele; i sikh, indiani monoteisti che si dichiarano musulmani anche se molti esperti ritengono si tratti ormai di una religione a sé stante; gli yazidi, che professano un culto sincretista iracheno molto antico e che presenta alcuni tratti in comune con l’islam (come pure con il cristianesimo e con l’ebraismo).

Vi sono due termini legati alla religione musulmana molto usati nelle cronache di attualità, a volte a ragione, spesso in maniera imprecisa.
Uno di questi è sharia: si tratta della legge di Dio, che riguarda il culto e gli obblighi rituali, e deve essere quindi slegata dalla giurisprudenza. Solo in alcuni casi la legge divina diventa legge dello Stato, come ad esempio in Iran e in Arabia Saudita: purtroppo anche gli ulema convengono che la pena di morte sia prevista e giustificata in caso di omicidio, adulterio, blasfemia e apostasia. Tutti gli altri casi di cui sentiamo parlare, come ad esempio le esecuzioni per omosessualità, non sarebbero quindi previsti. Nemmeno è previsto un trattamento offensivo o di sottomissione nei confronti delle donne, cui il Corano stesso riconosce diritti e doveri pari a quegli degli uomini. Ancora una volta, come possiamo vedere, è l’interpretazione sbagliata di alcuni passi dei testi sacri che determina sofferenze inaudite (ma non è forse un caso simile a quello dei roghi contro eretici e streghe?).
Il secondo termine è jihad, la cui traduzione più semplice è “sforzo”. È possibile quindi tutta una serie di possibili significati, tra i quali sembra prevalere lo slancio per raggiungere un dato obiettivo e può fare riferimento allo sforzo spirituale del singolo individuo per migliorare sé stesso. Nondimeno, molti gruppi politici e religiosi hanno utilizzato la parola jihad unicamente con il significato di “guerra santa”, che è poi la connotazione che generalmente le viene riconosciuta in occidente.

A conclusione di questo articolo, vorrei ricordare che arabi e musulmani non sono lo stesso popolo: Allah parla a Muhammad in arabo perché egli è arabo, la capitale dell’islam è in Arabia Saudita e da qui è partita la conversione di molti altri popoli. Ma non tutti gli arabi sono musulmani, né tantomeno tutti i musulmani sono arabi: anzi, la maggioranza dei musulmani sta in Asia centrale e orientale (tra gli altri Turkmenistan, Uzbekistan, Afghanistan, Pakistan, Indonesia, Cina); e altri Paesi a maggioranza musulmana non sono arabi: ad esempio Turchia, Iran, Nigeria.

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