martedì 23 febbraio 2016

Brasile


Veniamo ora all’esperienza che più mi ha aiutato a formarmi come persona, a farmi capire chi sono, a crescere: si tratta del viaggio nella regione Sud del Brasile, compiuto nel maggio del 2011.
La spedizione è stata organizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo, allo scopo di far incontrare e confrontare giovani veneti e brasiliani (di origine veneta o friulana), creare amicizie e se possibile aprire a soluzioni lavorative ed economiche tra le due sponde dell’oceano. Il nostro gruppo era formato da diciassette persone, tra le quali il Presidente dell’associazione, giovani attivi nella politica locale, e studenti, a rappresentare tutte le provincie della nostra regione. Abbiamo visitato un Brasile diverso da quello che ci si aspetta: non Rio de Janeiro e le sue spiagge, non la giungla dell’Amazzonia, non le metropoli come San Paolo, ma i tre Stati federali del Sud, cioè Paraná, Santa Catarina e Rio Grande do Sul, colonizzati a suo tempo da italiani e altri emigranti, ora motore economico di tutto il Paese.

Vorrei descrivere brevemente l’itinerario. Sarà utile al lettore non ferrato sull’argomento una cartina di questa zona. Siamo partiti il 14 maggio alla volta di Colombo, cittadina adiacente alla grande Curitiba, capitale del Paraná: nei tre giorni trascorsi qui abbiamo avuto la possibilità di visitare le campagne e la città, di incontrare molte persone e parlare con loro in dialetto veneto (o lingua veneta come preferisco dire). Successivamente abbiamo effettuato un viaggio piuttosto lungo per raggiungere Concórdia, cittadina nello Stato di Santa Catarina, dove siamo stati ospitati per qualche giorno in famiglia e abbiamo potuto constatare i successi nella vita e nel lavoro di molte famiglie discendenti da emigranti. Da qui abbiamo proseguito verso il Rio Grande do Sul, facendo tappa proprio nella prima città che si incontra venendo da nord, cioè Erechim: a mio parere siamo rimasti troppo poco, vista e considerata anche l’agenda davvero piena, che includeva incontri con il vicesindaco (in questo caso sono stato nominato sul posto nostro portavoce) e con l’Associazione giovani imprenditori. Poi abbiamo raggiunto il “cuore” dello Stato, ovvero la città di Santa Maria, dove abbiamo soggiornato per cinque giorni, di nuovo ospitati in famiglia: le attività che abbiamo svolto durante questa tappa sono state molteplici, dall’assistere a uno spettacolo teatrale e a grandi feste in nostro onore, alla visita a scuole, università, fabbriche e chi più ne ha più ne metta. Tanti sono stati comunque anche i momenti di svago, come ad esempio la domenica passata in un centro sportivo dove abbiamo potuto passeggiare, consumare un ottimo churrasco tutti assieme, compagni di viaggio, ospiti, amici vari. Gli ultimi giorno sono stati piuttosto caotici: ci spostavamo di giorno in giorno, a volte sostavamo solo per poche ore, un pasto veloce con qualche autorità e poi via, verso la tappa successiva. Vorrei ricordare due tappe, quella a Doutor Ricardo dove il simpatico sacerdote padre Tremea recita e canta la messa in lingua veneta, e quella presso la cittadina di Garibaldi, nelle vicinanze della più grande Caxías do Sul.

Due settimane volate, piene zeppe di attività, momenti ufficiali, feste meno ufficiali, balli e canti. Penso sempre con affetto a tutte le persone che ho incontrato, con cui sono ancora in contatto, amici che ci hanno aperto le loro case e raccontato le loro vite, e quelle dei loro antenati, solamente per l’origine che ci accomuna, per questa lingua vera e vivente, troppo spesso sottovalutata, per le tradizioni, la dedizione al lavoro e al sacrificio, la naturale attitudine al riunirsi in comunità di sostentamento. Ne hanno passate tante i nostri amici italo-brasiliani, a cominciare da quei “trenta giorni di nave a vapore” ricordati in molte canzoni, per giungere in una terra ostile, selvaggia (o “mata”), abbandonati dal governo centrale che aveva promesso fortuna e ricchezze. Molti ce l’hanno fatta, le hanno trovate, o meglio se le sono costruite e guadagnate. Molti altri no.

Vorrei chiudere con un episodio che ho ben fissato nella memoria e mi fa ancora inumidire gli occhi: un uomo, che ci ha concesso un’intervista a favore di videocamera, quando gli abbiamo chiesto se gli sarebbe piaciuto tornare a visitare l’Italia ha risposto subito sì, ma poi è scoppiato a piangere dichiarando che quanto guadagnava non era sufficiente a pagare il viaggio. Inoltre, molte persone lì sono convinte che, qualora provassero a cercare vecchi parenti rimasti, si troverebbero porte chiuse in faccia: chi ci ha provato ha avvertito paura, da parte degli italiani, di sentirsi rivendicare qualche eredità o qualche diritto. Io, per quel che mi riguarda, vi accoglierò sempre a braccia aperte come voi avete fatto con me. Grazie di cuore.

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